Lo Yoga come Pratica di Lunga Vita

L’origine dello yoga ci riporta indietro nel tempo anche se, per quello che riguarda lo yoga moderno, legato alle pratiche più note, non così lontano. La pratica dello yoga moderno risale al 1930/40 quando il Maraja di Mysore decise di incontrare il grande Krishnamacharya, docente universitario e esperto di sanscrito, uno dei pochi conoscitori della lingua antica, utilizzata unicamente dalla casta più alta per dialogare con le divinità, i bramini. K era inoltre insegnante di yoga e il Maraja era venuto a conoscenza dei grandi poteri (siddhi) che lo yoga aveva sulla mente.

Due dei poteri derivanti dalla pratica costante sono la concentrazione e la chiaroveggenza. Quest’ultima intesa come “chiara visione”, sapere esattamente quale è il proprio scopo qui e ora grazie al profondo ascolto del sé e dalla profonda concentrazione derivanti dalla pratica stessa.

Il Maraja rimase così entusiasta che chiese a k di insegnare lo yoga non solo alla propria famiglia, ma anche al proprio esercito, che doveva scontrarsi con l’esercito inglese che all’epoca era presente sul territorio indiano….ricordiamo che in quel periodo l’India lottava per la propria indipendenza contro il dominio britannico e il Maraja vide nello yoga uno strumento per avere la meglio sull’esercito colonizzatore, dato che non avendo armi a disposizione ritenne che il controllo della mente e del proprio corpo potesse essere un’arma ben più forte di quelle meccaniche.

K fu il maestro di altri grandi insegnanti che ci hanno trasmesso questa pratica come la conosciamo oggi (Pattabhi Jois e quindi l’ashtanga Vinyasa, Iyengar, Indra Devi…..)

Ma cosa vide di così unico il Maraja nello yoga? 

Vide tutto il suo potere sull’acquietamento della mente. Vide quanto fosse potente la concentrazione derivante dalla pratica costante e disciplinata. Lo yoga permette a chi lo pratica in maniera assidua, con disciplina e fervore (tapas), di annullare i vortici mentali, i chitta vritti, i nostri onnipresenti rimuginamenti mentali, causa, insieme ad altri fattori (secondo la filosofia yoga) della perenne instabilità emotiva umana e quindi della sofferenza. 

Lo yoga si fonda su una delle sei darsana (scuole di pensiero) che si contrappongono a quella classica e ortodossa dei Veda (testi sacri) legata a credenze e rituali. Lo yoga si fonda sul Samkhya karika, un testo molto antico, che esordisce con una domanda ben precisa: quali sono le cause della sofferenza umana? Un testo complesso e articolato ma che fornisce un’idea chiara, secondo lo scrittore, della causa della sofferenza: la nostra mente e le sue fluttuazioni (anche se ridurre a questa semplice frase un testo così complesso potrà suonare quasi blasfemo agli esperti).

Secondo questo testo lo yoga può essere la via verso un perfetto equilibrio tra mente e corpo, tra materia e spirito.

In che modo? Percorrendo il percorso dell’ashtanga yoga, tramandatoci da Patanjali, un filosofo e maestro  indiano vissuto indicativamente nel II secolo ac.

Gli otto rami (ashtanga significa otto rami, da non confondere con la pratica dell’ashtanga vinyasa) sono alla base della filosofia dell’hatha yoga.

Un vero praticante yoga deve prima cambiare il proprio modo di essere, se non vuole che lo yoga resti una mera pratica di stretching. Una volta modificato il nostro modo di porci verso gli altri e verso noi stessi, che sono i primi due concetti dell’ashtanga yoga espressi da Patanjali, allora potremmo realmente comprendere l’essenza della  pratica dello yoga.

TAPAS: UNO DEI CINQUE NIYAMA

Alla base del cambiamento ci sono i nostri atteggiamenti da modificare, verso noi stessi e verso gli altri. Patanjali definisce cinque “regole o comportamenti” da adottare verso gli altri, raggruppati sotto il nome di Yama, e altrettanti, definiti come Niyama, verso se stessi.

Tra i cinque niyama, troviamo tapas. Tapas viene tradotto in svariati modi, ma quello che amo particolarmente è il significato che gli viene attribuito da Desikachar, figlio di Krishnamacharya, nel suo libro “il cuore dello yoga”: “tapas è tutto ciò che facciamo per mantenere il corpo in forma. Letteralmente significa scaldare il corpo e così facendo, purificarlo. Dietro il concetto di tapas c’è l’idea della possibilità di sbarazzarsi delle scorie fisiche. Gli asana e il pranayama sono strumenti per mantenerci in salute. Un’altra forma di Tapas è fare attenzione a ciò che mangiamo. Mangiare se non abbiamo fame è l’opposto del tapas. L’attenzione ala posizione del corpo, l’attenzione alle abitudini alimentari e l’attenzione al respiro sono forme di tapas che contribuiscono a evitare il deposito di scorie nel corpo, inclusa l’obesità e la respirazione incompleta. Il tapas mantiene il corpo in forma e in salute”

Bisogna soffermarsi su quanto scritto da Desikachar. Mangiare quando il corpo ne ha bisogno. Eppure noi facciamo tutto il contrario, il cibo per noi ormai è compensazione, mangiamo non per bisogno ma per gola, per depressione, per tristezza, per noia, causando un eccessivo accumulo di scorie e tossine che il nostro organismo fatica ad eliminare. Anche in questo lo yoga ci può essere di aiuto attraverso la disciplina nel mantenere un giusto regime alimentare e non cedere alla compulsività con cui spesso approcciamo il cibo.

La pratica dello yoga inoltre, se fatta con giusto criterio, permette al corpo, attraverso gli asana e il pranayama, di attivare Agni, il fuoco. Il fuoco addominale permette l’attivazione del metabolismo e di conseguenza l’eliminazione delle tossine. Molte tecniche di pranayama sono incentrare proprio sull’attivazione del fuoco addominale.

AGNI: IL FUOCO DIGESTIVO – MITO & FILOSOFIA

Per leggere l’articolo completo cliccare su questo link:
articolo competo “lo Yoga come Pratica di Lunga Vita”